La storia

Forse nessun paese riassume meglio di Castelvecchio i valori della Valleriana (detta anche Svizzera Pesciatina) e non solo per  la presenza della Pieve, la massima istituzione sacra di tutta la val di Pescia e, forse, dell’intera provincia di Pistoia, ma anche per la struttura dell’antico borgo medievale, ancora ben conservato e caratteristico, e oltretutto immerso in un paesaggio che quasi niente ha perduto della sua fisionomia originaria.

La storia dell’insediamento urbano è più recente di quella della pieve; se quest’ultima è infatti uno dei più antichi edifici sacri della Valdinievole e dell’intera provincia, le notizie di Castelvecchio come centro murato si riferiscono prevalentemente al basso medioevo.

Distinguiamo dunque, per comodità di esposizione, queste due storie, premettendo che di Castelvecchio come centro murato non sono giunte fino a noi molte notizie. Si sa che fu feudo di Giovanni di Garzone e di Bardino di Federigo Garzoni: tuttavia, pare che i Garzoni, famiglia ghibellina per eccellenza, non abbiano di fatto esercitato su Castelvecchio la loro egemonia, anche se in paese esiste ancora la loro dimora, sormontata da un bel portale trecentesco. Probabilmente, occupati nelle loro cariche, nelle ambascerie, nelle guerre, sopportarono fino a un certo punto che il castello seguisse la parte guelfa, e ciò proprio un anno dopo la loro investitura. In quegli anni la rocca di Castelvecchio, come quella di Vellano, respinse un assalto volto appunto a rovesciare il dominio guelfo. Nel 1363 poi, Giovanni Garzoni, al servizio delle armi pisane, dette l’assalto ad Altopascio, fallendolo, e successivamente si rivolse contro Castelvecchio, dove mirava a restaurare il suo dominio: nello scontro con le milizie fiorentine, schierate a difesa del castello, ebbe però di nuovo la peggio. Secondo altre fonti, invece, i Garzoni occuparono Castelvecchio, sia pure per breve periodo. Restò in loro potere fino alla pace del 1364, nel qual anno fu restituito ai Fiorentini. Ma Castelvecchio dovette essere stato mezzo diroccato dalle armi dei Pisani e le famiglie degli abitanti che scamparono al sanguinoso assalto dovettero certamente fuggire sparpagliandosi nei luoghi circonvicini e tornando poi in paese a mano a mano. Comunque siano andate le cose, è certo che Castelvecchio subì le devastazioni di guerra e che il suo stato attuale reca ancora l’impronta di quelle vicende. Dopo il definitivo ritorno ai Fiorentini, la storia del paese non si distingue più per particolari momenti. Più che altro si tratta di scaramucce con i paesi vicini ed in particolare con S: Quirico, paese da cui Castelvecchio è diviso da una secolare rivalità ancora oggi dura a spegnersi.

Ben più importante e densa di notizie interessanti è la vicenda della pieve di S. Tommaso. Come nel caso di tutte le pievi antiche, essa sorge fuori dall’abitato di Castelvecchio. Le sue prime origini affondano in epoca longobarda. Il primo documento certo riguardante la chiesa è una carta dell’879; ma dell’esistenza di un edifici sacro anteriore, in Valleriana, si ha notizia già attraverso il testamento del vescovo Peredeo, datato 778. Alcuni saggi che sono stati fatti nel perimetro della pieve di S: Tommaso, negli ultimi restauri degli anni (1978-2006) hanno riportato alla luce il perimetro della struttura tardo imperiale, unitamente ad alcuni reperti archeologici del medesimo periodo, tra cui un fonte battesimale a immersione e la fornace con la forma di una delle campane. Il tutto si trova sotto l’attuale pavimentazione.

Dunque, il primo documento che si riferisce con certezza alla nostra chiesa è la pergamena dell’879, nella quale il vescovo di Lucca Gherardo allivella a due fratelli alcuni beni pertinenti alla pieve dei Santi Tommaso e Giovanni Battista. Da un documento successivo, dell’anno 880, apprendiamo dell’esistenza, sotto la giurisdizione della pieve, della chiesa di S. Quirico. Nel 975 poi, un contratto  ci informa che Adalongo, vescovo di Lucca, commutò alcuni beni della pieve. Più ricca di notizie una carta del 20 giugno 978, dalla quale apprendiamo che il rettore della pieve la cedette a livello al giudice imperiale Ildebrando ed ai suoi fratelli Giovanni e Pietro, assieme ad altre chiese fra cui quella di S. Quirico: ad essi spettava l’obbligo di pagare un censo annuo e di fare officiare l’edificio sacro. Una nuova allivellazione si ha nel gennaio 988 da parte del vescovo Isalfredo, sempre ai fratelli ed ai loro eredi, insieme coi beni e le decime che alla pieve pervenivano dalle varie ville.

Ben documentata è l’importanza della pieve, anche se i documenti successivi si fanno più rari: c’è una carta del 1017 in cui il vescovo Grimizzo, dando a Gherardo figlio di Gherardo dei Montemagnesi beni e decime di varie pievi, gli cede anche i quarantacinque soldi d’argento che per la pieve d’Arriano (identificabile con Castelvecchio) pagava annualmente Ildebrando ed altre rendite, in cambio dell’obbligo di versare al vescovo la modesta cifra di trentadue soldi l’anno. Altri documenti che la menzionano si hanno nel 1019 e nel 1023. Nel catalogo delle chiese lucchesi del 1260 il piviere di S. Tommaso e Giovanni include le chiese di Aramo, Sorana, S. Quirico, Medicina, Lignana, Stiappa, Pontito e Lucchio, lo spedale di Veglia e quello di Stiappa. Nel 1519, all’atto della costituzione della diocesi di Pescia, il piviere venne smembrato: mentre Castelvecchio fu compreso nella nuova diocesi, assieme a Sorana e Lignana; S. Quirico, Stiappa, Pontito, Medicina, Fibbialla e Aramo rimasero sotto la giurisdizione ecclesiastica lucchese.

La pieve di S. Tommaso vide così decadere la sua importanza: oggi, dopo trenta anni di chiusura per restauri, iniziati nel 1978, terminati nel 2006, mostra al visitatore la sua ritrovata grandezza.

Sulla data dell’elevazione dell’edificio attuale si è a lungo discusso, mancando del tutto il supporto documentario. Alcuni la collocano all’interno del IX o, al più, all’inizio del X secolo; altri la considerano opera dell’XI-XII secolo, eseguita da maestranze pisano-lucchesi con forti influssi lombardi. Molto importanti i lavori di restauro cui il complesso è stato a più riprese sottoposto: dichiarato monumento nazionale nel 1875, vide pochi anni dopo l’inizio di attività di ripristino. Altri interventi si ebbero dopo le due guerre ed all’inizio degli anni sessanta, per cui l’aspetto attuale della pieve di Castelvecchio appare come il frutto di più di un rifacimento. Anche se si è cercato di mantenersi il più possibile vicini alle linee originarie, il danno non è certo stato trascurabile.

A tre navate absidate, totalmente costruito in pietra proveniente dalle cave vicine, l’edificio, orientato secondo l’uso antico, è adornato esternamente da una cornice di archetti semicircolari. La torre campanaria, di epoca tardo romana, e sicuramente in origine era una torre di avvistamento, non molto alta (m. 12.50), massiccia, quasi quadrata, non merlata, ha un ordine di bifore intramezzate da colonnette.

L’interno della Pieve, scandito da archi a pieno centro e da colonne non molto alte, trae luce dalle strette finestre che si aprono nella rilevante porzione di muro che resta al di sopra degli archi; la copertura è a capriate in vista; al presbiterio, elevato rispetto al piano della chiesa, si accede per mezzo di scalette. Sotto il presbiterio è la cripta, che la leggenda popolare vuole costruita nel luogo dove S. Ansano martire si raccoglieva in penitenza ed in preghiera. La cripta è composta da cinque colonne per parte, disposte in modo da seguire la curva del coro, e da un’altra fila centrale con capitelli rozzi e semplici. E’ rischiarata a malapena da una piccola feritoia. Gli altari sono molto semplici, sia quelli dell’interno della chiesa sia quello della cripta.

Se dalla Pieve ci spostiamo nell’interno del paese, arroccato come prescrivevano le antiche esigenze di difesa, troviamo varie attrattive. Innanzitutto la forma, quasi quadrata. Poi, l’intrico delle viuzze, cui si accede per una sorta di porta d’ingresso e per una strada in ripida salita, in fondo alla quale, sulla destra, è la chiesa di S. Giovanni Battista che, certo meno nobile della pieve, racchiude comunque qualche opera degna di nota quali un crocifisso ligneo e una pala d’altare proveniente dalla Pieve risalente al XV sec. Sottostante la chiesa parrocchiale, accedendovi da uno sdrucciolo sito sotto il campanile si giunge all’Oratorio del SS. Rosario con i suoi affreschi riportati all’ antico splendore grazie ad un restauro effettuato nel 2007 a cura del Ministero dei Beni Culturali .